Racconti


PAZZIA
Niente di tutto quello che vi diranno di me rispecchierà mai la realtà. 
Non era la prima volta che entravo in quella stanza ma da un pò di tempo, ogni volta che varcavo quella soglia, una strana sensazione, che voi potreste descrivere come ansia, mi attraversava gli arti, come se dall’esterno ci fosse qualcosa il cui unico scopo era farsi strada tra i muscoli, i tendini, le ossa con un impeto che devastava ogni centimetro del mio corpo. Ad ogni passo in avanti su quel pavimento aumentavano i miei battiti, più mi avvicinavo più il dolore diventava insopportabile ma non potevo, non volevo smettere. Conoscevo perfettamente quella stanza e non solo avrei potuto descriverla, ma avrei saputo ricostruirla alla perfezione in ogni minimo dettaglio; quel tappeto di un rosso cupo, coperto di polvere, con quelle macchie ancora più scure tutte concentrate sul angolo a sinistra se lo si guardava con le spalle rivolte alla porta d’ingresso. Il letto che a prima vista sembrava appena riordinato ma che ad un occhio attento avrebbe svelato quei graffi sul suo legno e quel piede mancante sostituito alla buona, l’unico dei quattro senza segni che ne alterassero l’aspetto. Il lampadario leggermente pendente e coperto di plastica e la mia poltrona preferita accanto al tavolino dove appoggiavo sempre il mio whiskey preferito, insomma il mio angolo, il mio angolo preferito. C’era un’ultima cosa in quella stanza, un telo grigio-verde in fondo alla stanza accanto al letto che avvolgeva, non so esattamente cosa avvolgesse, non avevo mai avuto modo di scoprirlo. 




DISTRUZIONE
Era da tanto che non tornava nella sua città.
Il suo viso non era mai stato così triste, il suo sguardo fissava il paesaggio fuori dal finestrino.
I suoi pensieri lo riportavano a quando era un semplice bambino.
Chilometro dopo chilometro sembrava che si fosse ormai rassegnato, lui cosa poteva fare?
Non si cambia il passato, lo sconforto va trasformato in speranza, <bisogna reagire> si diceva e andare avanti, nonostante la vita non fosse più quella di un tempo. Malgrado il rimorso per tutto quel male, bisognava continuare.
La macchina si fermò, era di un colore simile alle altre che la circondavano.
L’uomo era ancora seduto, continuava incessantemente ad osservare fuori senza accennare un movimento. Iniziò a piovere, una pioggia debole e fresca, come se il cielo si fosse messo a lacrimare.
Ed ecco finalmente un piccolo sorriso si adagiò sul viso dell’uomo, come se le gocce sul vetro rendessero felice il bambino nascosto nel suo profondo.
Dopo qualche secondo sparì quella piccola smorfia da quel volto segnata dalla tristezza.
Smise di piovere, la macchina ripartì lasciando il segno delle ruote sul terreno infangato.
Il bambino si allontanò, proprio nel momento in cui l’uomo abbozzò un sorriso, per raggiungere la foresta che ormai non era più la stessa, e non sarebbe più potuta esserlo.
Anche la grotta, in quel luogo che nessuno conosceva se non lui, dove la fantasia diventava realtà, era scomparsa. Cosi come la scuola, le case, le strade, nessuno avrebbe più potuto riconoscere quella cittadina. Chi poteva fermare quella distruzione? Forse nessuno, era inevitabile, era il destino.
L’auto blindata sorpassò il cartello che delimitava i confini della città, il bimbo guardò la vettura allontanarsi lasciandolo lì tra i resti di una guerra.
Disse addio all’uomo che era diventato.
Mentre una lacrima gli rigava il viso l’uomo continuò a fissare dal vetro il mondo.